Sport coaching: gli insegnamenti degli atleti azzurri a Tokyo2020
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Sport coaching: gli insegnamenti degli atleti azzurri a Tokyo2020

Lo sport coaching è ciò che faccio di mestiere, amo scoprire cosa migliora le performance e porta alla perfezione. Ma, prima di tutto, amo lo sport da ex atleta e perché fa bene.

Fa bene al corpo, modifica addirittura il nostro DNA riducendo i rischi di malattie, ci dice la scienza, e fa bene alla mente. È uno strumento di crescita interiore senza eguali. Tutti dovrebbero praticare sport in modo serio e prendere il meglio, da qualsiasi disciplina.

In un precedente articolo ho parlato dello sport come riscatto sociale, intervistando il campione del mondo dei pesi massimi di MMA, il nostro Maurone nazionale. Qui, voglio approfondire il tema della crescita interiore derivante dallo sport, e parlare di altri insegnamenti che ci regala. Soprattutto (ma non solo) per i più giovani.

E voglio farlo partendo dall’esperienza di alcuni nostri atleti alle Olimpiadi di Tokyo2020. Ne ho scelti 5, come i cerchi olimpici. Avrei voluto parlare di tutti, ma è impossibile: abbiamo battuto il record nazionale di medaglie e molte altre sono state sfiorate.

I nostri sono stati dei fenomeni, non solo chi è salito sul podio, ma tutti. Perché vincere non vuol dire solo prendere una medaglia.

Così, ho scelto i 5 che, nelle interviste, hanno detto di più, su di loro, estrapolando insegnamenti interessanti. La verità la conoscono solo loro, ma ciò che segue è quello che possiamo dedurre dalle loro dichiarazioni.

 

Mental coaching sportivo: imparare dai migliori (Tamberi)

Iniziamo a parlare di sport coaching con Gianmarco Tamberi, oro nel salto in alto, che, come ha scritto in un post ironico, ha lanciato una moda: vincere le Olimpiadi. ?

Gimbo ha fatto tante cose interessanti: prima di tutto ha superato un infortunio che ha interrotto temporaneamente la carriera. Ma si è ripreso. Questo elemento di forza interiore, questo primo insegnamento, si chiama resilienza. La resilienza è la capacità (parlando per metafore) di rialzarsi dopo una caduta. Gimbo si è rialzato, ha guardato davanti a sé e ha deciso di vincere.

Ha portato con sé a Tokyo anche il gesso indossato durante la convalescenza, con su scritto “Tokyo2020”: il suo obiettivo post-infortunio, la sua rinascita.

Ed ecco un secondo insegnamento: si è posto un obiettivo chiaro. Non sappiamo quale sia, forse saltare almeno 2.37 metri, oppure vincere l’oro… qualunque sia stato, lo ha tenuto sempre bene in mente, come un faro che segnala la terra a una nave persa tra le onde.

La sua fidanzata ha dichiarato che, a un suo messaggio, il nostro campione le ha risposto: “Goditi la gara, al resto ci penso io.” Il suo mental coach, Luciano Sabbatini, ha detto che si sono videochiamati prima della gara e Gimbo gli ha chiesto un esercizio per restare nel qui e ora, per godersi appieno quel momento.

Ecco un terzo insegnamento di questo grande campione: la presenza mentale. Non esiste passato, non esiste futuro. Esiste solo il presente. Un concetto che i maestri della meditazione conoscono da secoli e che lo psicologo Mihály Csíkszentmihályi ha chiamato “flow”.

Si tratta di quello stato interiore in cui il tempo scompare, siamo pienamente immersi in ciò che stiamo facendo, perché ci piace e non è né tanto facile da annoiarci, né tanto difficile da stressarci. Solo la pratica (fisica e mentale) ci può portare in questo stato, al momento della performance. In qualsiasi sfida della vita. Gimbo ha detto che, quando non ha saltato i 2.39cm, si è detto “Ma come è possibile? È così basso!”. Era totalmente immerso nel flow e si stava divertendo da matti.

Sport coaching: imparare dai migliori (Ferrari)

E passiamo ora a Vanessa Ferrari, la nostra farfalla dagli occhi di tigre. Elegante e determinatissima. Ha vinto un argento nella ginnastica artistica che in realtà è come un oro.

Un ottimo esempio delle basi dello sport coaching. Vanessa, infatti, ha detto che ciò su cui si è concentrata maggiormente, durante l’esecuzione, sono state le sensazioni del corpo, aveva tutto sotto controllo, ogni muscolo. I suoi atterraggi erano perfetti, riusciva a spostare il focus mentale in ogni singolo momento, per concentrarsi su ciò che in quel piccolissimo frangente era più importante.

Ecco che torna di nuovo la presenza mentale. Come dicevo, un elemento che risulta fondamentale, nella vita in generale. Spesso siamo lontani dal presente, ed è normale. La nostra mente è progettata per pensare, pianificare, prevedere. Siamo gli unici animali in grado di “viaggiare nel tempo”.

Io spesso sfrutto questa nostra capacità negli esercizi che faccio svolgere ai miei coachee, atleti e non solo. Ma in quei momenti è funzionale, perché bisogna attingere a risorse interiori “viaggiando nel tempo”. Nell’esecuzione di una performance, invece, non lo è.

Per un’ottima performance, bisogna rimanere nel qui e ora. Quindi, torna utile lavorare sulle tecniche di meditazione mindfulness, per educare la mente a dirigere sapientemente il focus, l’attenzione, sfruttando la nostra neuroplasticità.

Anche questo è un elemento importante degli allenamenti mentali che svolgo con i miei coachee, perché bisogna saper gestire le potenzialità della propria mente sotto ogni punto di vista, sfruttando ciò che è più funzionale in quel preciso momento.

E Vanessa era lì, come Tamberi, non da un’altra parte. Fai tesoro di questo insegnamento. La mindfulness è molto utile, per allenarti alla concentrazione.

 

Sport coaching: imparare dai migliori (Jacobs)

Jacobs, oro storico ai 100 metri, nelle interviste, ha detto che, prima della gara, gli sono passati in testa tutti i sacrifici fatti e tutti i momenti difficili. Una volta in gara, però, era solo lì e da nessun’altra parte. Di nuovo torna il qui e ora di questi grandissimi campioni. Ma andiamo oltre, di questo ne abbiamo già parlato.

La sua mental coach, Nicoletta Romanazzi, lo ha aiutato ad arrivare all’oro rimuovendo una serie di blocchi, anche a livello personale, dice in un’intervista.

Da Jacobs impariamo, come ho detto mille volte anche su questo sito, che sport (o altro lavoro) e vita sono un tutt’uno. Diverse volte mi è capitato di aiutare atleti a “sbloccarsi”, senza mai lavorare sullo sport. Può sembrare assurdo, ma non lo è affatto.

Posso parlare di atleti che avevano problemi con il loro aspetto fisico, che non li faceva più sentire a loro agio in abiti sportivi. Atleti che, avendo problemi personali e famigliari importanti, avevano la “testa sempre lì”, come mi hanno detto loro stessi nelle prime sessioni.

Troppo spesso, purtroppo, si tende a pensare che il professionista e l’essere umano siano due cose distinte. Un errore gravissimo, che porta sia a un calo di performance, sia a un calo di autostima e sicurezza. L’atleta (e il lavoratore in generale) deve sentirsi a suo agio, prima di tutto.

Quindi, quello che ci insegnano Jacobs e la sua mental coach è che, quando sperimentiamo un calo di performance, dobbiamo imparare a guardare a noi come a esseri umani, nella nostra globalità. Perché l’evento scatenante, il trigger che attiva il problema, può arrivare anche da altri àmbiti della nostra vita, spesso molto distanti dallo sport, dal lavoro. Un altro punto fondamentale, nello sport coaching.

 

Mental coaching sportivo: imparare dai migliori (Busà)

Luigi Busà, oro al kumite del karate nella patria di questo sport, ci ricorda la resilienza (già vista con Tamberi) e ci insegna come la sofferenza possa essere un volàno per la crescita interiore. Non si può parlare di sport coaching senza parlare di crescita personale. E Luigi ne è un esempio.

Persone care perse durante i 12 mesi che hanno preceduto la gara, un ex bambino sovrappeso che ha trovato la forma fisica e la salute grazie alla spinta del papà a intraprendere il percorso sportivo. Problemi che lo hanno formato, da piccolo e da adulto.

Sin da piccoli veniamo educati a non sbagliare, a evitare i problemi perché fanno male. Invece, dovremmo essere educati al contrario. Sbagliare e affrontare problemi di varia natura sono due elementi fondamentali. Perché la vita non è facile per nessuno e perché gli errori sono dietro l’angolo.

Sbagliare ci insegna a migliorare, affrontare problemi di vario tipo ci insegna a resistere, ci educa alla sofferenza e alla forza. Valori fondanti delle discipline orientali, che si sposano perfettamente con la disciplina di Busà, quindi. Ma non sono prerogativa di chi fa arti marziali, ricordalo.

E andiamo avanti.

In un’intervista, Busà ci dice anche: “Mi sono staccato anche dai social perché non sono la vita reale”. Una dichiarazione che incontra quella del CT della pallavolo femminile, che ha detto qualcosa come: “Non abbiamo perso per i social, ma ho detto più volte alle ragazze di starne lontane e di non farsi distrarre dai commenti, dalla melma.” Evidentemente, da grandi campionesse, le nostre atlete hanno imparato da questo e altri errori, perché hanno poi vinto l’europeo… sconfiggendo proprio la Serbia!

Riflessioni interessanti, visto che le nostre vite sono spesso “contaminate” da un uso poco accorto dei social. Questo fa perdere il focus sulla vita reale (e torna l’elemento della concentrazione, del qui e ora). I social, appunto, non sono la vita reale.

Vuoi risultati nella vita reale? Usa i social in modo corretto e non farti trascinare nel loro gorgo: sono studiati per attivare il cosiddetto meccanismo della ricompensa, a livello mentale, lo stesso che si attiva nelle dipendenze (tanto per farla breve). Occhio!

Al Corriere della Sera, poi, si rivolge ai bambini sovrappeso e dice: “La vita non è facile, ma non si deve mai mollare, io da piccolo ho subìto insulti, vengo da un paesino del Sud, bellissimo, per carità… Però ce l’ho fatta e se ce l’ho fatta io…”.

Ecco di nuovo la forza derivante dal non mollare, dall’affrontare i problemi non come disgrazie divine, ma come sfide da vincere. Anche nell’inclusione sociale (molto importante, per gli adolescenti). Un tema a me molto caro, ovviamente, per via della mia Sindrome di Tourette, che mi ha fatto trattare da “strano”, “diverso”, per molti anni. Tema che tratto anche nel mio libro per ragazzi “Ops…”.

Bravo Gigi! Anche tu, come gli altri, sei campione di sport e di vita.

 

Mental coaching sportivo: imparare dai migliori (Baldassarri)

Milena Baldassarri, sesta nell’individuale della ginnastica ritmica, ci ha lasciato due perle, nelle interviste.

La prima è una frase che, per me, è già un aforisma: “Gli altri si allenano alla performance, noi alla perfezione“. Questo ci insegna qualcosa di fondamentale, per lo sport e per la vita: puntare sempre al meglio e farlo divertendosi. Perché Milena ce lo ha detto con il sorriso. E se il meglio non lo si raggiunge? Si impara dagli errori e si va avanti.

Queste ragazze si allenano dalle 6 alle 8 ore al giorno, i loro punti di forza sono la tenacia e lo spirito di sacrificio. Puntano un obiettivo e non lo lasciano. A 19 anni, Milena ha già vinto moltissimo, a livello mondiale, e ritrovarsi sesta in una gara come quella di Tokyo è una specie di medaglia. E questo ci mostra che l’impegno viene poi ripagato.

“Non ce la faccio”, “non ne vale la pena”, “vanno avanti solo i raccomandati”… sono scuse che raccontiamo a noi stessi per paura, forse, di metterci alla prova, di testare e provare a superare i nostri limiti. Milena, invece, ci insegna che superare i propri limiti, se si vuole eccellere, è un dovere. E non ci sono scuse. Puntare un obiettivo raggiungibile e realistico, godersi il viaggio verso di esso, raggiungerlo e poi individuare il prossimo.

La seconda esternazione dell’elegantissima Milena è sulla sua passione sportiva. Ha detto che ne aveva tante, da piccola, è passata da uno sport all’altro e si è fermata alla ginnastica ritmica solo quando ha capito che era lo sport in grado di permetterle di esprimersi al meglio. E questo è un insegnamento importante, per tutti quei giovani che cercano la loro strada, e per i genitori che li incoraggiano.

Lasciate che i giovani scelgano lo sport che fa per loro. Non sgridateli, se decidono di mollarne uno dopo pochi mesi o giorni. Forse non lo sento loro. Lasciate che scelgano il piena libertà, che trovino quello che li fa esprimere al meglio, proprio come ha fatto la nostra Milena.

La passione è il motore che porta all’eccellenza, perché ha in sé la motivazione intrinseca: il fare per il semplice piacere di fare. Un punto fondamentale, un elemento che molti miei coachee mi chiedono di aiutarli a trovare. Spesso, troppo spesso, si fa perché “si deve”, non perché “lo si desidera”.

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