Come fare team building nello sport
Capire come fare team building nello sport è fondamentale, per creare squadre unite e orientate a un unico obiettivo. Di tecniche ce ne sono tantissime, per raggiungere lo scopo, e i servizi di coaching sono un valido aiuto. Ma se sei qui, questo già lo sai.
Quindi, ora voglio parlarti di un altro aspetto: le basi scientifiche che ti aiuteranno a essere un buon team leader.
Come fare team building nello sport: i neuroni specchio
Nel 1995, Giacomo Rizzolati e il suo team scientifico scoprirono l’esistenza di una specifica categoria di neuroni, già individuata anni addietro (sempre da loro) nelle scimmie. Li chiamarono neuroni specchio perché si attivano nel momento in cui vediamo altre persone compiere gesti o provare emozioni.
E si accendono nelle stesse aree cerebrali che si accenderebbero se fossimo noi a compiere quel gesto o a provare quelle emozioni. Sì, perché i neuroni specchio sono distribuiti un po’ in tutto il cervello.
Questo sistema di neuroni specializzati è importantissimo, perché ci fornisce la conferma scientifica che siamo animali programmati per vivere in società. E ora capirai cosa intendo dire.
Insomma, grazie a essi entriamo in empatia con gli altri.
Come fare team building nello sport: l’empatia
“Empatia” è una parola coniata nel 1909 in Inghilterra, ma deriva da una parola tedesca che vuol dire “immedesimarsi”. Ed è proprio quello che riusciamo a fare noi grazie ai neuroni specchio.
Ci immedesimiamo negli altri, ci mettiamo “nei loro panni” ed entriamo in connessione con i loro pensieri e le loro emozioni. Un punto fondamentale, per la vita sociale, di gruppo e di team.
Costruire relazioni è di estrema importanza, sì.
In passato, quando vivevamo in ambienti naturali e ostili, era fondamentale restare uniti, in gruppo, ed essere accettati. Restare soli poteva voler dire morire di fame o uccisi da altri esseri umani o animali affamati.
Oggi viviamo in un mondo meno brutale, ma far parte di un gruppo resta fondamentale. È insito in noi.
Pensa a quanto sia importante per gli adolescenti essere riconosciuti come membri di gruppi, farsi valere, essere accettati e piacere. Perché pensi che tutti gli adolescenti si comportino così? Perché l’adolescenza è quel momento della vita in cui si entra davvero in società con ruoli attivi e questo nostro retaggio evolutivo si sveglia. Il cervello inizia a dire: non restare solo!
Come fare team building nello sport: il perché di team non coesi
Alle volte, però, accade che questo meccanismo si inceppi. In società passiamo davanti a persone in difficoltà e le ignoriamo, in squadra non passiamo la palla o preferiamo “assoli” piuttosto che scambi con i compagni.
Una sorta di cortocircuito nel meccanismo che ti ho appena descritto. Perché accade?
Perché noi esseri umani siamo anche programmati per essere egoisti, per anteporre le nostre esigenze a quelle altrui. Quando siamo stanchi, arrabbiati, impauriti, demotivati, affrettati o sovrappensiero è come se il resto del mondo non esistesse, come se i neuroni specchio venissero disabilitati.
In queste occasioni, dunque, noi veniamo prima degli altri.
Non passiamo la palla per far vedere al mister che siamo i migliori (paura di perdere il ruolo), o per ripicca nei confronti di quel compagno di squadra che ci ha risposto male (rabbia), o ancora perché abbiamo dormito male e semplicemente non ci abbiamo pensato (stanchezza, pensieri) o perché siamo demotivati.
Sento le rotelline del tuo cervello che si stanno muovendo velocemente, che ragionano e uniscono i puntini. Stai facendo 2+2 e a questo punto è del tutto naturale. Siamo arrivati al nodo cruciale.
Come fare team building nello sport: tecniche e strategie
Come dicevo all’inizio, di tecniche e strategie ce ne sono molte, per fare team building nello sport. E il coaching è il metodo più utilizzato, per attuarle con efficacia.
Ma spesso il mental coach viene chiamato quando già ci sono difficoltà in atto. A questo punto, ciò su cui è necessario agire è il ripristino di una condizione di normalità. Poi si potrà partire con ulteriori rafforzamenti.
Bisogna, quindi, lavorare sugli atleti più in difficoltà. Analizzare con loro i problemi e trovare delle strategie condivise per superarli. Qualcuno può sentirsi demotivato, un altro stressato, possono nascere attriti e così via.
E anche l’allenatore deve fare attenzione a come si comporta.
Alcuni atteggiamenti possono risultare involontariamente deleteri. Magari qualche atleta può sentirsi messo da parte o vedere altri privilegiati rispetto a lui. L’allenatore ha il delicato compito di osservare tutto questo e rendersi conto per tempo di quello che sta accadendo.
Ecco perché, spesso, le sessioni di mental coaching vengono svolte direttamente con l’allenatore: per permettergli di aumentare le proprie capacità di analisi e la propria empatia.
Altre volte, accede che l’allenatore metta volontariamente in atto degli atteggiamenti per motivare o punire degli atleti, nell’intento di dar loro “una scossa”. Tuttavia, se non si conoscono le basi della Applied Behaviour Analysis, si rischia di fare danni. Ne parlo qui, approfonditamente.
Come fare team building nello sport: conclusioni
Come abbiamo visto, la riuscita di un team e la sua coesione dipendono da molti fattori. Ognuno di noi è un sistema interconnesso con tanti altri sistemi per formare un sistema di proporzioni planetarie. Non siamo esseri a sé stanti. Non siamo nati per stare da soli o essere individualisti.
Siamo nati per far parte di un team. Ma questo non vuol dire che ci venga sempre naturale.
Ecco perché è necessario un allenamento mentale e una preparazione specifica. Qualunque sia il proprio ruolo nel team.
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