Come comunicare bene con gli altri, al lavoro e nella vita
Capire come comunicare bene con gli altri è un punto fondamentale della nostra esistenza. Siamo animali sociali, viviamo in un mondo sempre più complesso e le reazioni a ciò che ci viene detto o diciamo possono creare rapporti solidi, o distruggere quelli esistenti.
Vediamo, allora, come comunicare bene con gli altri, al lavoro e nella vita di tutti i giorni.
Come comunicare bene con gli altri: minacce e premi
Nel nostro cervello esistono due meccanismi primitivi che scattano nel momento in cui ci troviamo davanti a una minaccia o a un premio. Questi meccanismi sono velocissimi e prendono vita nella parte più antica del nostro cervello. Pertanto, non vengono immediatamente razionalizzati.
Questi meccanismi producono delle reazioni, in noi, che possono dar vita anche a decisioni e a stati d’animo che perdurano nel tempo.
Un ruolo cruciale, come ormai saprai, lo gioca l’amigdala. Ma non è da sola. Molte aree del nostro cervello si mobilitano e stiamo parlando di qualcosa di molto sottile. Pensa che ci sono aree cerebrali che sono coinvolte tanto nell’interpretazione del dolore fisico quanto nell’interpretazione del “dolore sociale”. Come se questi due dolori fossero la stessa cosa, per noi.
Nel 2005 è stato effettuato uno studio, da Naccache e colleghi, che ha mostrato come parole senza senso simili a parole minacciose di uso comune, presentate in modo subliminale, venissero comunque classificate come possibili minacce, dall’amigdala. Per i partecipanti, l’impressione era di avere una sorta di “intuito”, o “sensazione” che fosse così. Nulla di razionalizzato, dunque.
Nel 2001, Friedman e Foster hanno svolto un interessante esperimento poi supportato da ulteriori studi negli anni successivi, in cui si evidenziava che anche gli effetti sottili di un approccio mirato all’ottenere premi o evitare minacce possono avere un grande impatto sulle prestazioni cognitive.
Ma passiamo dalla teoria alla pratica.
Nella vita di tutti i giorni, questo vuol dire che un capo, un genitore o un partner che continua a inveirci contro, a urlare, a usare toni di minaccia (con parole del tipo “se sbagli sei finito”, espressioni del viso da “guerra” e così via) abbassa le nostre capacità cognitive e di problem solving, con il risultato di peggiorare ancor più la situazione e portarci a commettere errori.
Stiamo parlando proprio di reazioni biologiche: la nostra memoria di lavoro non ha a disposizione abbastanza ossigeno e glucosio per lavorare bene. L’organismo si prepara a combattere, non a ragionare. E ancora, l’amigdala inizia a farci immaginare un mondo negativo che ci toglie forze e volontà. Anche per molto tempo.
Puoi immaginare i danni in un team sportivo o di lavoro? E nella vita famigliare?
Se è vero questo, però, è vero anche il contrario.
Di fronte a una comunicazione esemplare, davanti a un premio, si attivano i circuiti della dopamina che, come sappiamo da tempo, aumenta le capacità creative, mnemoniche e di ragionamento, oltre a farci sentire bene. Tra tutti gli studi effettuati, il più esemplare è forse quello condotto da Frederickson, nel 2001.
Come comunicare bene con gli altri: la comunicazione non violenta
Cosa fare, dunque? Un capo non dovrebbe più riprendere un dipendente che sbaglia? Le famiglie dovrebbero essere come quella del Mulino Bianco? Un team sportivo dovrebbe lasciarsi andare e ignorare gli errori?
Certo che no, la soluzione non sta nell’evitare queste situazioni, ma nel gestirle con una comunicazione ad hoc.
Lo psicologo statunitense Marshal Rosenberg nel 1960 creò la cosiddetta NVC, la Comunicazione Non Violenta, lasciandoci un’eredità inestimabile, per i rapporti umani.
Si tratta di uno stile comunicativo applicabile in qualsiasi occasione (anche quando parliamo con noi stessi). Uno stile che noi coach conosciamo molto bene, perché è tra le fondamenta del nostro metodo di lavoro.
Per accettare gli altri e comunicare in questo modo, però, per prima cosa è necessario aver accettato sé stessi. La sussistenza di conflitti interiori, infatti, è un blocco insormontabile.
In quei convegni che prendono vita nei fine settimana e che affrontano argomenti specifici, spesso di parla di tutto questo. Ma ai partecipanti non viene quasi mai detto che, se prima non si entra in profonda sintonia con sé stessi, le tecniche trasferite sono del tutto inutili. E questo genera più danni che altro.
Immagina un capo che non ha mai risolto dei conflitti dell’infanzia o dell’adolescenza. Mettiamo che abbia vissuto in una famiglia che ha educato i figli alla lotta, al perfezionismo e all’intransigenza. O mettiamo che in età adolescenziale sia stato vittima di bulli, emarginato per l’aspetto fisico o isolato, mentre i compagni si divertivano e flirtavano.
Questo capo coverà dei sensi di rivalsa verso il mondo, forse anche di odio. Potrà seguire i consigli dell’ultimo corso, ma non si renderà conto del suo stato interiore che permane. O magari ne sarà cosciente, ma vorrà andare avanti lo stesso. Questo creerà una specie di illusione, nella sua mente, e anche una dissonanza. Proverà a mettere in atto quelle tecniche, ma non ci riuscirà. O crederà di riuscirci pur non vedendo i risultati, intorno a sé.
Vuole essere un leader, ma non ci riesce. Crede di comunicare in modo non violento, ma non può far a meno di urlare, attaccare o addirittura offendere. Insomma, per usare i termini di Marshal Rosenberg: comunica come un rabbioso sciacallo, non come un’amorevole giraffa.
Quindi, prima di tutto bisogna risolvere i propri conflitti.
Fatto questo, si passerà ai 4 pilastri della NVC:
- Osservazione dei fatti
- Identificazione dei sentimenti
- Riconoscimento dei bisogni
- Espressione delle richieste
La persona, a questo livello di “illuminazione”, abbandonerà ogni meccanismo di difesa e attacco, la comunicazione non sarà più una guerra. Imparerà a osservare i fatti in modo oggettivo, senza giudizio.
Poi, identificherà i sentimenti e le emozioni che quei fatti generano. Come ci ha insegnato Albert Ellis, fondatore della Terapia Razionale Emotiva Comportamentale, non sono i fatti in sé a creare stress, gioia, ansia o rabbia, è il modo in cui noi li interpretiamo e valutiamo.
Se una persona ci dice “no”, troviamo difficile accettarlo. Ma analizzando i fatti e verificando con domande specifiche cosa lo ha portato a dire di no, riduciamo il conflitto ed entriamo in empatia. Alcuni approcci che possono aiutarci a esplorare i bisogni altrui possono essere i seguenti.
- Riflessioni: potresti dirmi cosa ti ho comunicato? Vorrei essere sicuro di aver detto le cose giuste.
- Feedback: mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi di quanto accaduto, le tue impressioni.
- Soluzioni: come pensi di poter evitare che questo accada di nuovo in futuro? Siamo una squadra, dobbiamo aiutarci a vicenda.
Altrettanto importante è saper comunicare in modo corretto i propri pensieri. Nel caso di opinioni personali, usare frasi come “io credo che/penso che” ci permette di distinguere le nostre interpretazioni dalla realtà e migliora la comunicazione.
Inoltre, dire “penso che” è diverso da dire “sento che” o da “vedo che”. Trasmettiamo significati del tutto diversi. E, come abbiamo visto con l’esperimento riportato più su, le parole hanno un potere enorme su di noi, anche quelle insignificanti. Figurarsi quelle vere!
Va ricordato, poi, che anche il paraverbale (tono e ritmo di voce) e il non verbale (posizione del corpo, espressioni del viso…) hanno un forte impatto, e non tutto può essere controllato consciamente, quindi è assolutamente necessario superare i conflitti interiori ed entrare davvero in un modo di essere, vivere e sentire non violento. Solo così saremo davvero naturali e bravi comunicatori.
Come comunicare bene con gli altri: sciacallo o giraffa?
Come abbiamo visto, uno sciacallo rabbioso sarà sempre pronto a usare termini da conflitto, da guerra, e ad attaccare il prossimo, anche per un nonnulla. Magari pensando che poi tutto si possa risolvere con uno “scusa”, “ero fuori di me”, “ho domito male”, “non volevo dire quello”. Ma la scienza ci ha insegnato che è del tutto inutile.
Ecco un esempio del linguaggio dello sciacallo: “Non hai portato a termine il lavoro nei tempi stabiliti. Per colpa tua, ora sono in ansia. Non posso mai fidarmi di te. Se lo fai di nuovo, prenderò provvedimenti immediati!”.
La giraffa, invece, è amorevole, empatica, compassionevole. Ecco un esempio della sua comunicazione non violenta: “Quando andiamo stretti con i tempi, mi sento agitato e insicuro. Ho bisogno di maggior cooperazione. Capiamo come risolvere insieme il problema. Come puoi evitare di andare in ritardo sui tempi? E cosa posso fare io, per aiutarti?”.
Questa è la comunicazione non violenta, quella che dovrebbe avere un leader e una persona amorevole. Sia con gli altri che verso sé stessi, con i propri dialoghi interiori. Ebbene sì: alle volte siamo sciacalli anche con noi stessi, indulgenti, ci trattiamo male.
Piccolo chiarimento: se fino a oggi e per molto tempo hai comunicato come uno sciacallo infuriato, è normale che l’altra persona abbia pregiudizi, nei tuoi confronti. È normale che tu abbia perso o mai conquistato la leadership. Qui le cose si fanno più complesse, bisogna riguadagnare o guadagnare la fiducia con pazienza e tenendo conto che ogni nuova minima reazione da sciacallo ti farà tornare al punto di partenza.
Ecco un altro grave danno della comunicazione violenta.
Tra l’altro, uno studio del 2022 condotto dalla Fondazione Giancarlo Quarta Onlus di Milano in collaborazione con l’Università di Padova e il Padova Neuroscience Center (Pnc), intitolato F.I.O.R.E. 2 (Functional Imaging of Reinforcement Effects), ha dimostrato che un’aggressione verbale viene vissuta dal nostro cervello come un vero e proprio attacco da cui difendersi con lotta o fuga. Un vero pericolo che attiva i circuiti dello stress.
La precedente ricerca, denominata F.I.O.R.E. 1, invece, aveva dimostrato quanto bene faccia, al nostro cervello, una comunicazione non violenta (per riassumere).
C’è da aggiungere altro?
Come comunicare bene con gli altri: conclusioni
Comunicare in maniera non violenta è la soluzione migliore per essere dei veri leader e dei partner amorevoli. Ricapitolando, ciò di cui hai bisogno per esserlo è quanto segue:
- Risolvere i tuoi conflitti interiori definitivamente
- Sviluppare empatia e amore per il prossimo
- Osservare i fatti senza giudizio
- Osservare le emozioni che i fatti generano
- Chiederti quali bisogni devono essere soddisfatti
- Comunicare in modo chiaro e non violento
Tutto questo, come detto, può essere utilizzato sia nella comunicazione interpersonale (con gli altri) si in quella intrapersonale (con sé stessi).
Questo vuol dire che, se sei la persona “attaccata”, puoi seguire gli stessi passi per comunicare con te, mentalmente o per iscritto, e superare il senso di attacco e/o riportare la conversazione su un livello non violento. Già, perché numerosi studi ci mostrano che l’empatia e gli atteggiamenti amorevoli sono contagiosi (probabilmente per un retaggio evoluzionistico: conviene).
Leggi il bestseller “Intelligenza sociale” di Daniel Goleman, per saperne di più.
Infine, se vuoi imparare a comunicare in modo non violento, puoi scegliere anche di affidarti al nostro servizio di mental training. Saremo lieti di supportarti.
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